Friday, October 07, 2005

ARTICOLO MANIFESTO

Domenica 1 maggio, 2005
La domenica speciale delle ragazze della Polverera
Un film racconta la storia del campionato di calcio femminile delle comunità sudamericane a Roma
TERESA MACRÌ
Eduardo Galeano racconta che quando in una intervista chiesero alla teologa tedesca Dorothee Solle come spiegare ad un bambino cos'è la felicità, lei rispose: «Non glielo spiegherei, gli darei in pallone per farlo giocare». Forse è proprio questo che manca, il calcio giocato, tra i livori che quotidianamente fomentano il suo mondo. Gazzettieri che cercano la notizia e la drammatizzano, ultras che cercano la guerrilla e la creano. Ma poiché il calcio è il gioco più bello del mondo, fortunatamente, apre a molteplici modi di viverlo, soffrirlo, gioirlo, soprattutto giocarlo. Rifuggendo, per un attimo, se possibile dall'ellisse in cui sembra retoricamente inchiodato «miliardi, razzismo, doping», il lungometraggio realizzato da Manuela Borgetti, Maria Rosa Jijon e Sonia Maccari La polverera che sarà presentato in anteprima lunedì sera alle 21,45 al Teatro Palladium di Roma nell'ambito della giornata «90'a Colle Oppio», racconta l'esperienza, anomala, di un campionato femminile che all'interno del campo di calcio sito al Colle Oppio a Roma, proprio vicino al Colosseo, è praticato da immigrate sudamericane che vivono e lavorano a Roma. Il calcio qui assume delle connotazioni e delle valenze talmente ampie e complesse che emerge quanto, il gioco stesso, nasca da bisogni e pratiche latine (in Ecuador, come in molti paesi della regione Andina, il calcio non è una esclusiva degli uomini. Nella sola città di Quito esistono almeno 25 squadre di calcio femminile professioniste). A Roma, ogni domenica (mattina e pomeriggio) le donne arrivano con le loro borse, indossano le divise e si incontrano davanti ad una tifoseria incalzante e carica. Le protagoniste sono ragazze che, dimenticando una quotidianità a volte faticosa e dura (molte sono donne di servizio, badanti, cameriere), ripongono problemi e convogliano nel calcio temi e pratiche di appartenenza sociale. Là, nello sterrato rettangolo romano (la polverera, appunto), l'attacco latino stempera conflitti etnici e reinventa una zona di appartenenza. La comunità latina, infatti, partecipa, attivamente al campionato: ogni domenica ai bordi del campo si improvvisano banchi di comidas volanti, dove i parenti e gli amici ritrovano il senso della comunità. Le calciatrici delle equipos Latin Girls, ZB, Perù Unidas, Familiar (le squadre sono composte da sette giocatrici) si ritagliano uno spazio di libertà. Il lungometraggio centra con leggerezza l'esperienza di condivisione dello spazio cittadino attraverso la metamorfosi domenicale del luogo. Riprende l'arrivo delle indomite mujeres latine, con i loro zainetti da cui tirano fuori le divise, indossano le magliette Soledad 7, Anna 23 e cominciano a riscaldarsi mentre l'allenatore disegna il modulo da seguire. Intanto sostano dei passanti curiosi, dei turisti. Gli spalti costituiti dai muretti del parco sono riempiti dagli immigrati, soprattutto sudamericani, che arrivano alla spicciolata per seguire il match. A fine partita le ragazze si rivestono, si passano il rossetto e reincontrano gli amici in un rito che, come le stesse dichiarano, serve per ricongiungersi alla comunità disseminata negli interstizii della capitale.

Il calcio, dunque, si riappropria dello specifico culturale per ricomporre e riattraversare i temi di una identità divisa, ritrova i termini della sua ludicità al di là dello scontro tattico, riscatta quel senso di perdita e di distanza che la comunità immigrata subisce nello stacco dal proprio paese d'origine. Non è un caso che attraverso il gioco del calcio, arte e letteratura, attraversano problematiche relative all'appartenenza etnica e sociale. Proprio nel 2004 Juan Urrios artista catalano, ha realizzato un bellissimo ciclo fotografico «La Cantera» (il vivaio) attraverso il quale ha fotografato nel quartiere multiectnico El Raval di Barcellona, tutti i bambini immigrati che indossavano la camiseta del Barça ed a ognuno ha chiesto di raccontare perché. Risposta più o meno unanime: perché ci si ritrova insieme e uniti, perché, sostanzialmente, si ricompatta la comunità sotto una nuova pelle, una appartenenza acquisita attraverso i colori, la storia della società blugrana e, perché dietro alle goleade di Ronaldinho i bambini si sentono maggiormente «integrati» alla sensibilità sportiva della città. Misteri del calcio? Chi ha la fortuna di vivere serenamente il tifo e le imprevedibilità del gioco del calcio sa bene che i misteri del mondo sono altri.

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